Il dibattito suscitato dalla delibera del comune di Vallarsa sull’agricoltura sostenibile è indice dell’interesse per il tema, ma richiede opportune precisazioni.
In primo luogo la delibera non intende promuovere il biologico (come afferma la maggior parte degli intervenuti ) bensì l’agricoltura sostenibile. Il biologico, a certe condizioni, rappresenta un metodo per avere sostenibilità, ma non è l’unico. Anche a voler considerare i soli aspetti ambientali, infatti, è possibile pensare a coltivazioni non biologiche, ma ad impatto ridotto. In altri termini il problema non è l’uso di fitofarmaci o di concimi, ma come e quanto questi vengono usati. Infatti è noto che tra i prodotti ammessi dalla legge ve ne sono alcuni più dannosi di altri. Analogamente è noto che su alcuni prodotti ammessi vi sono fondati sospetti che siano nocivi alla salute e che il potenziale danno provocherà patologie quando la possibilità di porvi rimedio diventerà praticamente impossibile. Basta pensare in proposito al caso dell’amianto (i cui effetti letali si sono manifestati trent’anni dopo l’uso), al DDT ed ai diserbanti contenenti diossina. Partendo da queste constatazioni la delibera del comune di Vallarsa dice che chi coltiva in maniera tale da avere basso impatto non deve fare niente. Chi, invece, coltiva utilizzando tecniche consentite dalla normativa, ma a rischio di danni futuri, deve sottoscrivere un’assicurazione o una fideiussione a favore del comune al fine di garantire almeno un indennizzo. Chi si rifiuta di collaborare o provoca danni immediati viene multato. La stima dell’impatto e dei danni provocati – che dal punto di vista economico sono definiti esternalità negative – può essere fatta con tecniche ormai diffuse da tempo.
In secondo luogo la delibera si inserisce in un percorso verso la sostenibilità iniziato in provincia di Trento circa venti anni fa’, quando era assessore all’agricoltura il dott. Gianni Bazzanella, e furono introdotti i protocolli d’intesa tutt’ora applicati. I conoscitori del settore agricolo possono facilmente concordare che se, nel definire il contenuto dei protocolli si tenesse conto delle esternalità negative e dei danni potenziali futuri, la delibera di Vallarsa potrebbe diventare un’opportunità per tutto il territorio provinciale.
Chiarito quanto sopra è anche evidente che il solo richiamo al mercato non è convincente. Questo perché il consumatore sceglie tra prodotti e non (o solo in minima parte) tra metodi di coltivazione, può scegliere tra mele biologiche ed altre mele, o tra mele rosse e mele gialle. Tale scelta non tiene quasi mai conto delle esternalità negative sui luoghi di produzione. Il diritto di respirare aria salubre, vivere sopra un suolo contenente una quantità ridotta di veleni, dovrebbe, per contro, essere assicurato, attraverso scelte collettive e/o pubbliche, a chi quell’aria respira e sopra quel terreno vive. Nessuna attività può essere svolta senza modificare l’ambiente, ma in un’economia basata sul mercato il metodo più efficiente per contenere l’inquinamento entro limiti accettabili, è far pagare i danni a chi li provoca. In questa logica credo sia possibile dimostrare che si può coltivare in maniera sostenibile rafforzando la competitività e senza trasferire l’inquinamento da altre zone da cui si importano i prodotti.
Nello specifico la delibera del comune di Vallarsa può essere ulteriormente affinata anche in conseguenza delle risorse ridotte che il comune ha potuto dedicare all’analisi del problema. Al tempo stesso mi chiedo però, perché in tutti questi anni in Trentino, una terra in cui si proclama una grande attenzione per l’ambiente, (anche per i riflessi in campo turistico) non si siano avute né significative innovazioni – organizzative o di altro tipo – né ricerche che abbiano portato a soluzioni operative atte ad aumentare la compatibilità tra attività agricola ed ambiente.
Infine vorrei invitare ad un momento di riflessioni tutti gli addetti al settore agricolo. Individuare soluzione atte a favorire coltivazioni ed allevamenti a basso impatto ambientale può servire per avere il sostegno dell’opinione pubblica, vendere meglio i prodotti, consentire attività agrituristiche ed intensificare la collaborazione con gli altri settori produttivi. Tali soluzioni servono, però, in primo luogo a salvaguardare la salute di chi la terra lavora. Per arrivare a questo risultato non ci sono scorciatoie, è necessario convincersi che non è più il tempo di chiedere a politici, ricercatori, dirigenti sindacali solo contributi, prezzi più alti o minori costi di produzione. E’ tempo di chiedere indicazioni per poter coltivare salvaguardando la propria salute e quella di chi fra le generazioni future vorrà continuare a coltivare la terra o a vivere nelle nostre valli.
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